Il mio Maestro Sergio Altieri

La mia lettera a Sergio

Caro Sergio, 

non ho mai scritto di te e in tanti si sono chiesti perché proprio io, che sono stata al tuo fianco per anni, sia rimasta in silenzio.

La tua morte ha lasciato un vuoto troppo grande e il colpo di ritorno è stato devastante. Solo oggi, a due anni dalla tua morte, ho trovato il coraggio di salutarti. 

Scriverti qui è un modo per parlarti ancora. 

Ho perso un grande capo, un amico, una persona che mi ha formata sul lavoro e mi ha insegnato tutto quello che so. 

Leggevo con te i romanzi e le sceneggiature, rivedevamo assieme i dialoghi e tra una traduzione e l’altra, stavamo scrivendo il nuovo film. Ero pronta a partire con te, a lasciare l’Italia, ora che mio figlio era più grande. 

Ti rivedo ancora mentre scendi da un aereo con il tuo zaino in spalla o sali sulla tua auto sportiva. 

Hai voluto presentare tu Land’s end, il mio ultimo libro. 

Quel romanzo così discusso, così diverso, scritto a quattro mani con Danilo Arona. 

Quasi una sfida. Una scrittura maschile che si confronta con una scrittura femminile. Neppure tu, che eri un fratello per entrambi, hai riconosciuto le parti scritte da me e quelle scritte da Danilo. 

E la tua presentazione diLand’s endnon è certo passata inosservata. Avevi colto, da fine intellettuale quale eri, tutti i passaggi nascosti, il metalinguaggio e le trasformazioni dei personaggi. Sapevi chi era Dafne e in quel capovolgimento della storia ti eri divertito a trovare il filo conduttore capace di reggere un castello di specchi. Una porta conduce a un’altra porta. Una storia introduce a un’altra storia, fino a quando lei, Dafne, prende coscienza di se stessa. 

Sai Sergio, non ti ho mai ringraziato per quel giorno. Ventiquattro ore prima eri a Los Angeles, ma non esitasti a salire sul primo aereo disponibile perché la data della presentazione del libro era cambiata.  

Ho sulla scrivania “Il trono di spade” con dedica tua e di George Martin. Il mondo forse non ti ha reso omaggio per quella traduzione magistrale, perché eri tu il traduttore di Martin. Lui aveva scelto te perché eri il più grande e non avevi bisogno di dirlo. Lo eri e basta. 

Quando quel maledetto 16 Giugno la notizia della tua morte è rimbalzata sui social, ho pensato a uno scherzo di cattivo gusto.

Stavo per chiamarti per dirti, “Sai che dicono che sei morto?”

E tu, col tuo vocione, ci avresti riso su e avresti detto “Fuck the world!”

Ma non era uno scherzo. Ricordo ogni istante. Il telefono che squilla. 

Èla voce di Danilo. Mi chiede se ho saputo. Io resto in silenzio. Danilo tentenna, dice che è la notizia che non vorrebbe mai darmi. 

Accendo il computer e tutte le testate giornalistiche riprendono la notizia della tua morte mentre sulla mia casella di posta elettronica arriva la conferma del biglietto di volo per Los Angeles. 

Avevi prenotato il nostro viaggio…

Compongo il tuo numero di cellulare, quello che solo in pochi conoscono. Il telefono suona a vuoto. 

“Il bardo dell’Apocalisse” è morto titola un giornale. 

Il commiato degli scrittori. La Mondadori intera è in lutto. 

E io non faccio altro che indossare l’abito più bello e pitturarmi le labbra di rosso. Raccolgo i capelli in uno chignon e lo fisso con quel pettine antico di cui solo tu conoscevi l’origine. 

Salgo in auto e guido fino a Sasso Marconi.

Il barista mi guarda con aria spaesata quando mi siedo al nostro tavolo e chiedo di portare due birre. Faccio tutto quello che facevo sempre quando ti aspettavo, perché in quel bar abbiamo parlato di libri e progetti editoriali. 

Ci sono ricordi che si serbano per sempre nel cuore e ci sono incontri che ti cambiano la vita. Tu sei stato uno di quelli. Mi chiamavi Principessa, la tua Principessa. Dicevi che un giorno qualcuno mi avrebbe restituito quello che ingiustamente mi avevano tolto. 

Parlare dei tuoi libri, promuoverli, istituire un Premio a tuo nome, è un impegno pubblico che mi prendo. 

Perché in realtà tu non sei morto. Gli scrittori non muoiono mai. Vivono attraverso le loro opere. 

Il barista posa le birre sul tavolino. Pago il conto. Lentamente, tolgo il pettine dai capelli e i miei lunghi capelli neri scendono sul viso come un manto funebre. 

Bevo la mia birra e brindo a te. 

Il cellulare squilla all’impazzata, ma non rilascio dichiarazioni. Ci sono millenni di parole sepolte in me.  Il vento mi scompiglia i capelli e il manto funebre di Dafne s’innalza per diventare il mantello purpureo di una Regina. 

So che sei lì, sul promontorio e sogghigni. 

Vediamo come te la cavi adesso, Princess!”

La tua risata mi raggiunge ancora. 

Alzo gli occhi al cielo. Hai solo cambiato forma, ti sei spostato, ma esisti. 

I Cavalieri dell’Apocallisse con le loro lame di fuoco squarciano le nuvole. 

Quei Cavalieri  non sarebbero nulla se tu non li avessi resi immortali. 

Grazie per aver creduto in me, per avermi guidato e tenuto per mano quando avevo paura di cadere. 

Aspettami dall’altra parte con una birra in mano perché ho giurato che quando tornerò a bere la birra sarà quando brinderemo assieme!

Ciao Sergione! Ci vediamo presto a Land’s end…

Citizen Kane, cittadino di un mondo infernale – Alan D. Altieri [Il Superstite 384]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

Un anno senza Sergio. Occorre tenere sempre accesa la fiamma del ricordo. Ripropongo un vecchio articolo, prodotto quando lui era ancora in vita. Non so se questo sia il miglior modo per ricordarlo, ma è il mio, e tant’è.

Citizen Kane, cittadino di un mondo infernale – ALAN D. ALTIERI

Solomon Newton irruppe sulla scena letteraria all’alba del 1981, anticipando di qualche mese l’uscita del film 1997 Fuga da New York di John Carpenter. È significativo ricordare la precocità presaga di un libro, un solo libro, rispetto a un filone, complesso e multimediale, che caratterizzerà di sé tutto il decennio che si stava aprendo. Parlo, ovvio, di Città oscura che uscì in prima edizione nel marzo di quell’anno. Parlo di Alan D. Altieri. Sergio, Sergione, il lupo italiano. Lo scrittore-guerriero.

Night-City, ovvero il binomio estetico/tematico degli anni Ottanta. La paura metropolitana. In quel decennio protagonista di una vera e propria equazione. In letteratura, al cinema e nelle scienze sociali.

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Per queste ultime cito solo la psicologa Anna Oliverio Ferraris che nel 1983 richiama l’attenzione dei lettori sul nuovo volto della paura moderna, la Città, attribuendo peculiarità profetiche al succitato film di Carpenter[1]. E scrive questa frase: “alla grande metropoli è stato strappato il cuore”, per passare poi a sostenere che “la realtà della Napoli 1982 è in fin dei conti più difficile e più infida di quella di New York 1997”.

Al cinema, titoli del genere in sequenza sono già sintomi: Cruising, Fort Bronx, L’angelo della vendetta, Fort Apache-The Bronx, Strade violente, Police Station- Turno di notte, 48 ore, Angel Killer, Paura su Manhattan, L’anno del dragone, Vivere e morire a Los Angeles, Chi protegge il testimone, Black Rain. Alcuni dei più interessanti film noir del decennio percorrono con indomita consapevolezza linguistica il destrutturante sentiero dello scenario metropolitano degradato e incubico sino alla proposizione di un metagenere mai definito veramente oltre il quale svetta la megalopoli sporca di Blade Runner e prima del quale – già nel 1976 – si scorge il quartiere desolato e fantasmatico di Distretto 13, ancora di Carpenter.

In libreria, nello stesso decennio, abbiamo a disposizione: La trilogia di New York di Paul Auster, Because the Night di James Ellroy, Il delitto della terza luna di Thomas Harris, una decina di McBain della serie “87° Distretto”, Metropolis di Jerome Charyn, più non poche “escursioni” nella fantascienza (ad esempio, La torre dei dannati di John Tomerlin e Senza tregua di George Alec Effinger ) e nel gotico (Maledizione fatale di John Skipp e Craig Spector, Ragazze vive di Ray Garton).

La Città Terribile diviene così un paesaggio della mente dove i generi popolari si confondono e si fondono. L’apocalisse subliminale, la violenza, l’oscurità. E pesa come un macigno anche la dimensione figurativa di tante graphic novel, per  autori come Alan Moore, Will Eisner, Frank Miller e Geof Darrow.

A tutto questo Altieri sta nel 1981 come il faro teorico che illumina il filone in divenire. Nella Los Angeles di allora nebbie sulfuree pigmentano il cielo, le bande si scontrano in sfide iper-realistiche e al ralenti, un megaciclone si abbatte sulla città e dal sottosuolo fuoriescono i mostruosi  Croatoan. Con una preveggenza allarmante, rispetto a quel che ancora deve succedere, ma con un rigore analitico che ricorda in prospettiva  Mike Leigh, il teorico più radicale dell’apocalisse californiana (Agonia di Los AngelesLa città di quarzo) e il Lewis Mumford di Metropoli, megalopoli, necropoli, e con una tecnica di accumulazione che ricorda (ancora) Carpenter, Altieri inaugura il filone dell’apocalisse metropolitana, posizionandosi tra i generi, la realtà di oggi e un possibile domani. Un oggetto narrativo che i cultori di narrativa pop stavano aspettando e che sarebbe giunto di certo nel corso del decennio. Ma Altieri spiazza tutti, giocando d’anticipo da vero stratega.

Da allora inizia un percorso narrativo che è già leggenda. Nei successivi tre titoli (con quelle copertine di Dall’Oglio che si ricordano per la straordinaria suggestione che ancora incutono), ovvero Alla fine della notte, L’occhio sotterraneo e Corridore nella pioggia, Altieri definisce le coordinate della sua scrittura: i generi che si frantumano sul collo della catastrofe, il pianeta come campo di battaglia, la violenza “visibile” (spettacolare, precinematografica – non a caso lo scrittore annovera tra i suoi maestri Sergio Leone e Akira Kurosawa), gli eroi solitari e “ultimi”. Inizia anche una serializzazione aperta a ulteriori sviluppi: Solomon Newton che passa il testimone ad Alan Wolf, Earl Kane e poi Russell “sniper” Kane, da Andrea Calarno a Ben Yurick, l’action-thriller di Altieri si suddivide essenzialmente si snoda attraverso la serie dello “Sniper”, il tiratore scelto delle Forze Speciali inglesi, e gli sviluppi, al momento sulla carta, della “Trilogia di Los Angeles”. Ma nel frattempo fa pure capolino un Altieri gotico, quasi horror: tra le pieghe di Corridore nella pioggia, ben più esplicito nelle “sei storie dal Lato Oscuro” di Scarecrow – Lo spaventapasseri, e a tutto tondo  in due recenti racconti, Giorno segreto e Zona Zero.

Nel 2005 una clamorosa quanto significativa svolta con la mastodontica “Trilogia di Magdeburg”, suddivisa in tre volumi (L’ereticoLa furia e Il Demone, per un totale di quasi duemila pagine) pubblicati annualmente, apparente virata nel romanzo storico ambientato su diversi scenari –  la  celebre “struttura frattale” del suo narrare – durante la Guerra dei Trent’anni. Cupi palcoscenici di sangue, morte, tortura e intrighi, dominati dalla figura di Wulfgar, il Cavaliere Nero, tipico anti-eroe e contraltare medioevale dei vari “eroi” dei nostri tempi.

Dopo Magdeburg escono a ritmo annuale le raccolte dei suoi racconti sparsi generosamente qua e là. Ad Armageddon – Scorciatoie per l’Apocalisse si sono succeduti Hellgate – Al confini dell’inferno e  Killzone – Autostrade della morte.

In quest’attività fittissima di scrittura esercitata in Italia s’inserisce quello che potremmo chiamare, con un richiamo niente affatto casuale a Hitchcock, il  “periodo americano” di Altieri. Nel 1983 il suo primo editore, Andrea Dall’Oglio, invia a Dino De Laurentiis, da anni stabilmente saldo a Hollywood, una copia in lettura di Città oscura. La “chiamata” giunge di conseguenza sotto forma della famosa proposta che non si può rifiutare e Altieri s’instaura a Los Angeles al servizio della produzione, mettendo mano in qualità di editor agli script di celeberrimi titoli quali Atto di forzaL’anno del DragoneConan il distruttoreVelluto blu e lavorando fianco a fianco di mostri sacri quali Lynch e Cimino. È un lungo e intensissimo momento, vissuto a cavallo tra la Città degli Angeli e Milano, grazie al quale emerge in tutta la sua complessità l’anima americana di Altieri, a tal punto “uomo esterno” ad ambedue i sistemi produttivi che non si può non leggere l’omonimo romanzo uscito in prima edizione nel 1989 come una niente affatto velata metafora della sua condizione artistica ed esistenziale. Lavora per De Laurentiis sino al 1987 e quindi inizia a fare lo sceneggiatore in proprio. I suoi lavori che arrivano al grande e al piccolo schermo sono gli script di Blind Feardi TomBerry  (1989), Obiettivo indiscreto di Massimo Mazzucco e Due vite un destino di Romolo Guerrieri (TV, Rete Italia, tratto da L’uomo esterno) del ’92, e Silent Trigger di Russell Mulcahy (1995), l’action-thriller di cui Altieri è a tutt’oggi più soddisfatto. A queste bisogna aggiungere quella scritta nel 1984 per il bellissimo romanzo apocalittico di Wilson Tucker L’anno del sole quieto, purtroppo mai utilizzata al cinema ma uscita in un “Urania” del 2007 a complemento dello stesso titolo. L’attività di sceneggiatore a tempo pieno si conclude nel 1997, ma il dualismo di Altieri, su questa e sull’altra faccia della Terra, continuerà per nostra fortuna a segnare la sua vita e la sua narrativa. In certi periodi dell’anno c’è il rischio di dialogare con lui a orari decisamente strani perché se ne sta in California a godersi il Santa Ana. E a testimoniare con lo sguardo disilluso dello scrittore il declino dell’impero americano.

Altieri, ovunque – nel passato, nel presente o nel futuro che è già oggi – ci racconta della Fine. La Fine di un’epoca. Una narrativa che si situa al capolinea di un ideale elenco: Epopea di Gilgamesh, Mahabarata, La maschera della morte rossa di Poe, La peste scarlatta di London, La nube purpurea di Shiel, The Stand e The Dome di King, The Road di Cormack McCarthy. Per usare parole sue, il vero storico sa che la vicenda dell’uomo non è altro che una continua progressione ad archi: “l’impero egizio, l’espansione greca, l’impero romano, l’impero cinese, il sacro romani impero, gli imperi coloniali hanno visto tutti crescita, vertice e successiva disgregazione. È la natura delle cose. La natura della via stessa. Oggi ci troviamo di fronte a una svolta. Mai come nella nostra epoca nel sistema chiamato Terra hanno camminato così tante persone, hanno viaggiato così tante auto, hanno volato così tanti aerei. Mai sono state presenti. Mega-città, mega-industria, mega-popolazione, mega-scorie. Mega-armi: tutto «mega». Questo quadro è una violazione della Dinamica dei Sistemi, un oltraggio alle nostre stesse leggi fisiche.” La logica del Mega genera l’azzeramento. Le Zone Zero, prima a macchie di leopardo sulla pelle del pianeta; quindi tutto il pianeta che diventa una tombale, definitiva Zona Zero, the Killzone, Il concetto di “Zona Zero”, racconto conclusivo del recente Killzone, è altrettanto semplice quanto efficace: è la dove l’Uomo incontra la sua Nemesi e paga l’ultimo pedaggio. Dove il rimorso si materializza, alla lettera. A onore della logica del Mega, “il Mega-Spettro”.

[1]    Anna Oliverio Ferraris, L’assedio della paura, Editori riuniti, Roma, 1983.

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